"La libertà può fare una paura come niente e nessuno può fare, anche quando cerchiamo di spiegarcela con questa o quella ragione e diamo la colpa a questo o a quello. E invece no, c'è una paura propria e speciale della libertà e ha il gusto del chicco di melograna, per dire che il suo sapore non è mai lo stesso (…)"
Luisa Muraro
Quale è la parola più importante per te fra tutte le parole?
Prima di prendere la parola in cinese lasciami la tua parola
Il lavoro presentato a Cesena alla mostra "E al di là il cielo" nel 2015 era composto da un polittico appeso al muro. Davanti vi
era un altare in legno, sopra all'altare una scultura in terracotta bianca e ai lati due ciotole in ceramica decorata. La scultura in terracotta bianca è una mia interpretazione della Dea Serpente, figura mitologica primitiva legata al culto della Grande Madre.
Una ciotola contiene al suo interno delle tessere di plastica colorata con disegnate sopra parole in cinese. L’altra ciotola è vuota. In mezzo alle due ciotole vi sono delle tessere vuote e un pennarello.
Quale è la parola più importante per te fra tutte le parole? È la frase scritta che risalta fra le due ciotole sull’altare. Ogni persona era invitata a scrivere una parola sulla tessera per poi lasciarla nella ciotola vuota e a prendere una tessera con la parola in cinese. L’intento è regalare parole.
In chiusura della vernice della mostra è stata organizzata una performance in cui si sono lette tutte le parole che i fruitori hanno scritto durante la vernice.
Il linguaggio è legato al femminile. Tutti noi impariamo a parlare grazie al maternese (1) , quel modo cantilenante con cui le madri si rivolgono ai bambini che aiuta ad imparare a parlare.
Dean Falck, antropologa americana, ipotizza che le madri preistoriche appoggiassero per terra i loro piccoli quando dovevano occuparsi della raccolta del cibo; il linguaggio parlato è nato dall’esigenza di sostituire il conforto dell’abbraccio con qualcosa che mantenesse un contatto con i propri figli evitando così che piangessero.
In ogni epoca l’uomo ha creato delle categorizzazioni per distinguere le cose. Le parole creano confini, perché isolano le cose in maniera precisa. Cancellando questi confini ritroviamo una lingua sacra e materna a metà strada fra l’esperienza e il linguaggio con cui potere nominare le cose prima che si imprigionino in categorizzazioni logiche, parole nude ancora imbevute di terra, di corpo, di madre, di preludio, di fragilità.
In questa epoca di troppe voci, di troppi rumori, di eccesso di cose inutili sento l’esigenza di tornare all’essenza delle cose e di provare prima di tutto a guardare il mondo con occhi diversi.
Una rivoluzione può avvenire attingendo al femminile, ai suoi valori sensibili, percettivi, misteriosi, legati alla condivisione e all’accoglienza del diverso.
Il femminile ci indica una visione “altra” della vita: un sapere legato al contatto con l’anima, un’essenza interiore presente in ciascuno di noi, che racchiude ogni saggezza, anticamente chiamata Dea.
Si potrebbe abbracciare un nuovo modo di pensare che trae origine dalle radici della nostra umanità, da un tempo pre-cristiano in cui vi erano società basate principalmente sull’unione e non sul predominio, ove diversità non significava né inferiorità né superiorità (2).
La Dea era metafora dell’unità di tutte le forme di vita esistenti in natura: la forza del femminile fatta di unione e partecipazione, pensando alla terra come a un solo corpo che risuona di milioni di voci, ognuna delle quali è la voce della Dea.
Dischiudersi a un pensare altro è come aprirsi all’ignoto. Intravvediamo un luogo simbolico che contiene la manifestazione del sé ma anche la possibilità di relazionarsi con l’altro da sé. Può essere così messa in discussione l’idea di potere. Il potere rende schiavi indipendentemente dall’averlo o no. L’unica libertà dal potere è la libertà dalla schiavitù che esso origina.
Queste parole ci accompagnano con passo leggero parlandoci una lingua antica, armoniosa e liquida. Una lingua sacra che tutti possiamo capire probabilmente perché fa parte di noi: un legame in cui è ammesso toccare ed essere toccati, mangiare ed essere mangiati, usare ed essere usati, affrontare ed essere affrontati, senza confusione, senza distacco. Qui non si distingue ancora tra la parola e la cosa, tra il corpo e il linguaggio.
La parola raccolta alla sorgente degli inizi spinge ad uscire dalla gabbia del pensiero codificato e stereotipato, arriva da un luogo non luogo e da un tempo non tempo in cui la parola aiuta a sentire che non si è a terra da soli.
Raffaella Vaccari
marzo 2015
(1) cfr. Dean Falck, Lingua madre, Bollati Boringhieri 2009
(2) cfr. Marija Gimbutas, Il linguaggio della Dea, Venexia edizioni 2000